16 Dicembre 2025

Un Ispettore generale coatto e poco riuscito

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[rating=2] Prendere una vicenda che si svolge nella Russia zarista della prima metà dell’Ottocento e trasportarla ai giorni nostri, ambientandola quasi tutta in un trucido e squallido bar con la carta da parati scrostata e la slot-machine elettronica; prendere i personaggi ottocenteschi originali e trasformarli in un’accozzaglia di volgari coattoni vestiti in modo improponibile: è l’operazione che il regista Damiano Michieletto ha effettuato con il testo de L’ispettore generale, la commedia che Nikolaj Vasil’evic Gogol’ scrisse per mettere alla berlina la disonestà e la meschinità dei funzionari dell’amministrazione dello Zar, messa in scena per la prima volta nel 1836 a Pietroburgo.

Nata da una coproduzione tra il Teatro Stabile dell’Umbria e il Teatro Stabile del Veneto, la versione dell’originale gogoliano con la regia di Michieletto – che ha curato anche l’adattamento drammaturgico del testo – nei giorni scorsi ha calcato i palcoscenici di alcuni teatri umbri. Michieletto è un regista proveniente dal mondo della lirica che si è fatto un nome proponendo messinscene fortemente attualizzate e provocatorie di alcuni capolavori del teatro d’opera (i suoi allestimenti de L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti e di Un ballo in maschera di Verdi erano ambientati rispettivamente in uno stabilimento balneare e durante una campagna elettorale che si svolge nel 2013).

Nella sua rilettura de L’ispettore generale, lo squallore estetico sprigionato dalle belle scenografie di Paolo Fantin e dai costumi di Carla Teti vuole rimandare allo squallore morale dei corrotti maggiorenti della piccola città di provincia nella quale è ambientata la commedia, che fanno quasi a gara per riempire di favori e mazzette un giovinastro di passaggio nella loro città, che è stato scambiato per un alto funzionario governativo in incognito mandato per fare un’ispezione.

Al di là della bellezza delle scenografie alla quale ho già accennato, lo spettacolo zoppica, gli attori e le attrici non riescono a coinvolgere del tutto lo spettatore nei loro giochi scenici, il livello qualitativo della recitazione è buono senza però slanci (esce dalle righe Eleonora Panizzo, che interpreta la figlia del sindaco della città); tra tutte, spicca la scena del party nel secondo atto, un vero e proprio tripudio di estetica kitsch e cafonal con colonna sonora a base di musica techno.

In definitiva, uno spettacolo con una buona confezione ma con un contenuto incerto e traballante.

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