Ben vestite, tacchi alti, pronte all’audizione presso un’agenzia di moda, pigiano il pulsante ed entrano, chi dice buongiorno: qualcuna risponde, qualcuna no, qualcuna entra e non saluta. C’è chi ha voglia di parlare ed esprime il desiderio di mangiare una pizza funghi e prosciutto per intavolare un dialogo ma, nessuna risponde. Sono ragazze ognuna sulle sue: chi non nasconde che sarebbe disposta a concedersi all’impresario per la parte: chi figlia di impresari appunto avvezzi a provinare in modo più intimo le candidate. C’è chi è incinta, chi rivela di aver provato la vasca idromassaggio al settimo piano suscitando clamore e stupore in qualcuna delle cinque ragazze in scena.
Siamo in un ascensore ma ad un tratto si blocca: è questo il momento opportuno per fare conoscenza, ma tutte e cinque agguerrite con difficoltà si sbottonano, ma l’ascensore prolunga il guasto, fino a trasformarsi appunto in un contenitore di acciaio dove pian piano le ragazze si denudano dei loro vestiti, delle loro ritrosie, delle loro ambizioni. Lentamente si svelano ed anche chi è più schiva a concedersi alla possibile concorrente, alla fine si apre. La sosta oltremodo prolungata dell’ascensore crea malori, ansia, agitazione, e chi è più aperta, più semplice, meno abbiente nasconde meno di sè e fa da apripista alle altre: si creano necessità fisiologiche e se all’ingresso erano tutte vestite ora sono tutte in reggiseno.
E man mano che la sosta si prolunga tutto si fa più intimo, anche fare pipì diventa motivo di mettersi a nudo e creare solidarietà; la rivalità si fa armonia; il distacco si fa intreccio, comune condivisione di bisogni personali, culturali, economici fino a un’ammucchiata finale cui mancano, ma non tarderanno ad arrivare i nomi delle protagoniste che si e no si conoscevano. E i corpi diventano un corpo nella logica del “contenitore” sviluppato e diretto abilmente da Camilla Cuparo e dalle sue brave attrici, sgranando fino all’estrema conseguenza un tema apparentemente indifferente, porta al teatro sociale e ai nomi Denise, Natascia, Lucia. Sempre coerente con la sua idea di cineteatro su fondali minimali neri dove a fare scena sono gli animi, la recitazione e il movimento scenico, le sensazioni difficilmente rappresentate ma endemiche di ognuno di noi. Si arriva al messaggio finale che quantunque ognuno sia diverso “tutto si ferma” perché è giusto che ogni humor in conseguenza sia crescita delle persone e dell’umanità.
L’applauso premia il lavoro e la commozione della regista-autrice nel rivelare l’impegno da ella profuso su ragazzine molto piccole ma dall’encomiabile impegno personale e dei genitori rende il pubblico in sala ancor più entusiasta e prodigo di abbracci a chiusura della scena per la regista e le protagoniste, cinque donne per la precisione.






